Una sola medaglia d’argento in dieci gare. Non è certo stato un Mondiale felicissimo quello della spedizione azzurra. Ci auguriamo che il ciclismo italiano prenda spunto da questa delusione per prendere atto delle criticità del nostro movimento e cercare delle soluzioni.
Partiamo dai giovani. Partendo dal presupposto che soprattutto per gli juniores anche al Mondiale vale più l’esperienza che il risultato in sè, non possiamo non rimarcare che al ciclismo italiano giovanile manca qualità. Non sono i talenti a mancare, ma salvo alcune eccezioni il movimento è in mano a squadre che puntano al risultato immediato e fine a sè stesso con progetti obsoleti e non alla crescita dei giovani. Dovrebbe essere rivista la formazione dei tecnici da parte della federazione, che dovrebbe poi favorirne l’inserimento nelle squadre di club giovanili per dare una svolta vera verso la qualità e la multidisciplina. Si dovrebbe poi mettere un freno alle kermesse, i circuiti cittadini, alle corse stile giro dell’isolato che imperversano nel nostro ciclismo giovanile, e favorire l’inserimento in calendario di gare tecnicamente più rilevanti, crono, cronosquadre, vere gare in linea e a tappe, recuperando anche il Giro d’Italia dilettanti.
I dati parlano chiaro: sono ormai 12 anni che non vinciamo il Mondiale under 23 ed è perchè il ciclismo italiano è rimasto fermo in tutto questo tempo mentre tanti altri paesi si sono evoluti. In altri paesi i team giovanili sono parte di un sistema, di un progetto complessivo. In Italia sono orticelli che si fanno la guerra per vincere una corsetta in più. Problemi di mentalità ma anche di soldi, di un paese che non crede e non investe sullo sport, visto che la nostra federazione non ha certo le risorse di altri paesi e fa fatica ad imporre idee nuove.
I professionisti: non vinciamo una grande classica da sei anni, è vero, ma pensiamo che il nostro ciclismo valga qualcosa in più di un 13° posto. L’errore di fondo che ha portato al risultato deludente di Ponferrada è stato fatto molto prima della corsa. Gli stage, i ritiri, che si sono succeduti durante la stagione sono serviti a compattare il gruppo, ed infatti abbiamo visto una squadra coesa, ma non a far arrivare i nostri corridori migliori in buone condizioni ai Mondiali. Tutte le altre nazioni avevano i loro campioni in buona forma, il Belgio con Gilbert e Van Avermaet, la Spagna con Valverde e Rodriguez, l’Australia con Gerrans e Matthews, la Germania con Degenkolb. Noi no, ed infatti quando sono uscite di scena le seconde linee ed è toccato ai capitani la nostra corsa è finita. Nessuno dei nostri corridori migliori è arrivato a Ponferrada in forma accettabile: Nibali è stato nullo, Pozzato si è svegliato il giorno prima della convocazione, Trentin è arrivato in calo al finale di stagione. Forse sarebbe valsa la pena chiamare Nizzolo, che dopotutto il mese scorso è arrivato secondo in una classica World Tour dove ha battuto diversi corridori che sono arrivati tra i primissimi al Mondiale. Pensiamo che gli stage e il percorso di avvicinamento che per tutta la stagione ha segnato il cammino verso Ponferrada sarebbe dovuto servire anche a disegnare strategie e programmazione per avere i nostri corridori migliori al Mondiale in buona condizione e non solo per fargli fare amicizia.
Purtroppo in Italia prevale l’idea del comunque vada sarà un successo, che quando vinciamo noi siamo fenomeni, quando perdiamo o cadiamo siamo sfortunati, e quando cadono gli altri sono dei brocchi. Noi cerchiamo di metterci ad un metro di distanza e giudicare con obiettività, senza essere influenzati da amicizie e tifo. Con questa mentalità italica è difficile progredire e non ci riferiamo solo alle nazionali. Abbiamo bisogno di passione, memoria e valori, ma anche e soprattutto di programmazione, realismo e futuro.